VERSO UNA SOCIETA' SENZA RIFIUTI

A cura di Andrea Masullo

Relazione introduttiva alla Seconda sessione 
"La gestione dei
rifiuti nelle regioni commissariate" del CONVEGNO RIFIUTI del 9/12 organizzato a Roma dal WWF Italia. (coordinatore prima sessione: Maurizio Santoloci - e' intervenuto il Ministro dell'Ambiente Sen. Edo Ronchi)


La situazione

Ogni italiano getta via ogni anno mediamente circa 463 kg di materiali, per un totale nazionale di oltre 26.600.000 tonnellate. La composizione di questa enorme massa di materiali è molto variabile con la tipologia di zona urbanistica, con l'area geografica e con le stagioni; nella seguente tabella ne riportiamo a titolo indicativo la composizione media:

Frazione merceologica

%

materia organica

29

carta e cartoni

28

plastica

16

legno e tessuti

4

metalli

4

vetro

8

altro

11

  • Figura 1: composizione media dei rifiuti urbani

  • In gran parte si tratta di scarti alimentari, quindi di sostanze organiche prodotte su terreni lontani centinaia di chilometri (a volte anche migliaia), che non tornano più ai luoghi di origine, interrompendo un ciclo biologico fondamentale. In sostituzione di questa enorme massa organica gettata via come rifiuto, in Italia vengono sparsi ogni anno sui terreni agricoli più di 23 milioni e mezzo di tonnellate di concimi chimici, circa 160 quintali per ettaro. E' questa fra le cause principali della desertificazione di vaste aree del meridione e dell'inaridimento incipiente in pianura Padana.

    Un'altra gran parte dei materiali scartati à costituita da oggetti che nascono già dalle fabbriche come rifiuti, per essere utilizzati per tempi assai brevi, da poche ore a poche settimane; si tratta degli imballaggi usa e getta, fatti di vari materiali: plastica, alluminio, cartone, poliaccoppiati, vetro, ecc.

    Un'altra parte dei materiali scartati è costituita da tessuti, utensili d'uso domestico, oggetti d'arredamento ed elettrodomestici. A volte ci si disfa di queste cose in quanto la loro usura non ne consente oggettivamente un uso ulteriore; ma più spesso ciò accade per motivi soggettivi:

    In alcuni casi ci disfiamo di elettrodomestici guasti che nessuno vuol riparare per mancanza di parti di ricambio, o perché concepiti in modo da rendere complicata e quindi troppo costosa la riparazione.

    Questa enorme massa di materiali viene chiamata Rifiuti Solidi Urbani. Ad essi vanno aggiunte circa 40.000.000 di tonnellate di materiali scartati dalle industrie; si trtta di materiali che entrano nei cicli produttivi con funzioni suppletive, utilizzati cioè solo per alcune funzioni specifiche e che non entrano a far parte del prodotto, materie prime eccedenti, scartate in operazioni di taglio e finitura dei prodotti, ed imballaggi usa e getta. Vanno inoltre aggiunte altre 40.000.000 di tonnellate di rifiuti speciali di origine civile, costituiti da rifiuti ospedalieri, fanghi di depurazione civile, rottami da autodemolizione. Complessivamente ogni anno vengono scartati in Italia circa 100 milioni di tonnellate di materiali.

    Fino ad oggi questa enorme massa di materiali è stata collocata nell'ambiente, spesso in maniera clandestina o poco controllata, causando gravi rischi anche per la salute umana. Con il Decreto Legislativo del 5 febbraio 1997, n.22, dando attuazione alle Direttive Comunitarie in materia, si è cercato di dare concretezza a concetti già contenuti nella legislazione precedente, come la raccolta differenziata ed il riciclaggio, fissando anche degli obiettivi. Questa legge introduce all'articolo 3, prevenzione della riduzione dei rifiuti, come principio ispiratore fondamentale della normativa, la necessità della riduzione alla fonte della produzione di rifiuti, senza però introdurre degli obblighi o degli obiettivi in proposito. Invece nobilita nell'allegato C l'incenerimento di frazioni selezionate di rifiuti (CDR) che utilizzi a fini energetici il calore prodotto, ponendolo fra le operazioni di recupero. Una scelta preferenziale per questo tipo di soluzione è implicita in vari passaggi della legge e dei decreti attuativi, nonché nella attività seguite alla sua promulgazione.

    Sulla base di questa legge è stata avviata una attività di pianificazione che ha coinvolto, con tempi e modalità diverse, tutte le regioni italiane. Per alcune regioni del sud, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, che non si sono adeguate per tempo alla nuova normativa, e per la Provincia di Roma, con specifico riferimento al giubileo, è stato dichiarato lo "stato di emergenza" per i rifiuti, e istituite delle strutture di commissariamento, con poteri straordinari, per affrontare il problema.

    Ma purtroppo la realtà che è emersa dalle buone premesse della legge è tutt'altro che positiva, e ne ha di fatto evidenziato più i difetti che i pregi, portandoci a supporre l'esistenza di vincoli predeterminati nel processo di pianificazione.

    Pianificazione della gestione dei rifiuti e politica dei materiali

    La pianificazione delle attività umane è di per sé un problema estremamente complesso. Essa costituisce infatti l'anello di congiunzione, quasi mai indolore, tra decisioni di carattere tecnico e decisioni di carattere politico. Solitamente il piano che viene applicato è frutto di una mediazione non sempre soddisfacente tra l'analisi scientifica e le istanze politiche. Frequentemente accade che analisi scientifiche non abbastanza rigorose e complete si prestino a manipolazioni ed interpretazioni non sempre corrette.

    Particolarmente difficoltoso appare il compito di pianificare le attività di gestione dei rifiuti per la complessità di decisioni, attività e tecnologie che ciò implica; anche la definizione dei limiti territoriali del piano appare tutt'altro che banale se pensiamo che, mentre per i rifiuti solidi urbani in genere il comprensorio di pianificazione è a carattere sub-provinciale, lo smaltimento dei rifiuti industriali va pianificato su scala provinciale o regionale, e per determinati tipi di rifiuti particolarmente pericolosi bisogna pensare a soluzioni di carattere nazionale o sovra-nazionale.

    Occorre identificare una metodologia di pianificazione il più possibile completa e rigorosa, per garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio da parte delle popolazioni. Ciò implica i seguenti passi:

    1. identificare il problema qualitativamente e quantitativamente
    2. individuare i soggetti coinvolti: cittadini, imprese, amministrazioni
    3. individuare le principali decisioni che devono essere prese per la pianificazione
    4. individuare le principali relazioni tra le varie decisioni
    5. vagliare le varie alternative ed identificare degli scenari praticabili
    6. identificare e valutare quantitativamente e qualitativamente gli effetti di ciascuno scenario
    7. valutare le varie alternative
    8. sviluppare ed applicare delle procedure per una scelta ottimale dei siti di localizzazione degli impianti previsti.

    In ogni processo di pianificazione il primo passaggio fondamentale è la descrizione in termini abbastanza precisi dell'oggetto dell'attività pianificatoria, e degli ambiti ecologici, sociali ed economici in cui il piano svilupperà la sua influenza. Tale descrizione deve essere di carattere dinamico per definire dei trend di sviluppo, sia di tipo inerziale, sia modificati dagli interventi del piano, e disegnare in tal modo degli scenari di riferimento per il futuro. Nel caso dei rifiuti occorre una conoscenza dettagliata della produzione di rifiuti e della loro composizione merceologica, almeno per l'ultimo decennio, e delle variazioni stagionali, che diventano determinanti nelle zone turistiche.

    Riduzione e politica dei materiali

    Scopo di un sistema di gestione dei rifiuti è garantire che non vengano sparse nell'ambiente sostanze che in vario modo possano comprometterne l'equilibrio ed in particolare mettere a rischio la salute umana. Spesso si parte da un dato considerato ineluttabile che è il quantitativo di rifiuti prodotti e quindi da smaltire; ma sappiamo quanto sia difficile in assoluto garantire tecnicamente uno smaltimento dei rifiuti veramente sicuro ed efficace, e soprattutto garantirlo per tutta l'enorme quantità di rifiuti prodotta dalla nostra società. Per questo è necessario definire prioritariamente degli obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti alla fonte attraverso interventi coordinati sui produttori, sui consumatori e sul commercio predisponendo sia strumenti su scala nazionale che locale.

    Come abbiamo già detto il D.L. 22 non prevede obiettivi per la riduzione, tuttavia ne fa una priorità:

    Le autorità competenti adottano, ciascuna nell'ambito delle proprie attribuzioni, iniziative dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti…[Art.3].

    L'unico intervento che va in questa direzione, l'abrogazione della tassa di smaltimento, che andrebbe sostituita con una tariffa proporzionata ai rifiuti conferiti, prevista dall'articolo 49 dal 1 gennaio 1999, è stato ad oggi completamente disatteso e rinviato sine die. Ciò ha creato gravi disagi e disorientamento a quei comuni che si erano opportunamente già attrezzati in tal senso.

    A questo punto il pianificatore è chiamato a fare uno sforzo di astrazione dai limiti angusti dell'interpretazione usuale dei suoi compiti e cominciare a chiedersi se è possibile modificare i termini di partenza del problema, influenzando direttamente la produzione dei rifiuti intervenendo direttamente sul sistema di produzione e consumi. Egli si accorgerà che anche in questo caso, come per tutti i problemi ambientali e non, è molto più efficace, più logico e più economico prevenire il problema anziché affrontarlo quando è ormai esploso. Inoltre molti dei provvedimenti utili alla riduzione possono essere presi autonomamente dalle amministrazioni locali.

    Affrontare a monte il problema significa entrare con spirito critico nella logica che ha portato il nostro sistema economico all'aberrante esaltazione dello spreco di materiali ed energia, considerandolo addirittura una misura del benessere, confondendo in tal modo il fine con i mezzi. Occorre tornare alla logica tanto banale quanto attualmente misconosciuta che, al contrario, una società tecnicamente evoluta è quella che riesce a conseguire gli obiettivi del benessere con il minimo dispendio di materiali ed energia.

    E' per questo che nell'affrontare il problema concreto dello smaltimento dei rifiuti, bisogna prendere coscienza di trovarsi ad affrontare solo l'ultimo anello di una catena che potremo chiamare "politica dei materiali", e pensare a delle soluzioni che coinvolgano tutti gli aspetti di questa politica, integrandosi con essa, introducendovi modifiche e correttivi, nella prospettiva di un rinnovamento dell'intero sistema produttivo. L’obiettivo è garantire che di ogni materiale si utilizzino al meglio le sue caratteristiche, evitando sprechi ed usi impropri.

    Ad esempio, la plastica, derivata da una risorsa preziosa come il petrolio ed altamente inquinante, vede bene impiegate le sue insostituibili caratteristiche di elasticità, plasticità, isolamento, impermeabilità, e durata, quando impiegata per realizzare oggetti durevoli, ma è irrazionalmente utilizzata se impiegata per realizzare sacchetti, flaconi ed imballaggi destinati a finire tra i rifiuti dopo essere stati utilizzati per il tempo breve necessario al trasporto dei prodotti acquistati in un negozio; eppure quest'ultimo è il suo uso più diffuso. Inoltre, utilizzarla per prodotti usa e getta significa trasformare in uno svantaggio la sua migliore caratteristica: la non biodegradabilità. Altri materiali biodegradabili, derivati da sostanze naturali e non dal petrolio, potrebbero essere efficacemente utilizzati per produrre tessuti, sporte e imballaggi.

    Non è ammissibile inoltre che per contenere delle bevande si utilizzi un materiale prezioso come l’alluminio, che per essere prodotto richiede 10 volte l’energia necessaria a produrre il vetro e più di tre volte quella necessaria a produrre la plastica. Lo svantaggio nei confronti della plastica è evidente; ma anche nei confronti del vetro. Benché a parità di capacità il contenitore in vetro sia notevolmente più pesante e di conseguenza più elevato il costo energetico del trasporto, ciò non basta a compensare il vantaggio del basso costo energetico di produzione e della riciclabilità dei contenitori integri di vetro. Con i barattoli di alluminio si giunge al paradosso di avere un contenitore più prezioso del contenuto, costituito in genere da acqua zuccherata e variamente aromatizzata, mentre questo materiale potrebbe essere utilizzato per usi più nobili in cui risultino valorizzate le sue caratteristiche specifiche: conducibilità elettrica, leggerezza, inossidabilità.

    Potremmo continuare all'infinito nell'esposizione di usi impropri correnti dei materiali, in quanto il nostro sistema lascia piena discrezionalità di scelta in una malintesa ed esasperata interpretazione del libero mercato, ma il nostro scopo è fornire gli elementi di base per una corretta politica dei materiali che consenta di correggere queste distorsioni e ridurre alla fonte il problema della gestione dei rifiuti.

    E' bene iniziare dalla ricerca delle origini di tali distorsioni, che sicuramente non nascono da una ignoranza degli operatori del mercato, ma dai limiti stessi del loro campo di attività. Ad un imprenditore che intende introdurre un prodotto nel mercato interessa esclusivamente che il prodotto si presenti in maniera appetibile per il pubblico e soddisfi gli scopi per i quali è stato realizzato, per un periodo di tempo abbastanza breve da garantire nuove richieste, ma non troppo breve da deludere le aspettative a cui il pubblico è stato mediamente abituato dalla concorrenza. Solo in funzione di questi obiettivi vengono scelti i materiali e le tecniche produttive, lasciando in secondo piano le delicatissime fasi di apertura e di chiusura del ciclo produttivo: l'estrazione delle materie prime e lo smaltimento dei rifiuti. Eppure sono proprio questi i momenti più delicati dal punto di vista ambientale dell'intero ciclo: quali materiali ed in che modo vengono estratti dall'ambiente ed in che modo, sotto quale forma ed in quali combinazioni essi tornano nell'ambiente dopo l'uso.

    Un primo passo sarebbe scegliere accuratamente tra i vari materiali utilizzabili per la produzione di un qualsiasi bene quello che richieda il minor quantitativo di energia per la sua estrazione o, se si tratta di un materiale sintetico per la sua produzione, e che comporti il minor costo ambientale nelle fasi di estrazione o produzione e di smaltimento finale; vanno utilizzati preferibilmente in tal senso i materiali riciclabili. Per la realizzazione di questo passo occorre che siano a carico del produttore anche i costi ambientali, mentre oggi avviene esattamente il contrario. Addirittura i produttori pagano spesso prezzi artificiosamente bassi per le materie prime e l'energia, godendo spesso di sgravi ed incentivi statali, mentre è di solito il pubblico a pagare il costo ambientale ed i costi di smaltimento, per cui difficilmente il produttore si preoccuperà di abbassare dei costi che comunque non sarà lui a pagare. Inoltre il massimo dei profitti non si ottiene sempre attraverso una riduzione dei costi di produzione; una bella e costosa confezione può essere ampiamente ripagata da un aumento degli acquirenti.

    Un altro passo fondamentale è l'imposizione di standard sui formati ed i materiali di contenitori e confezioni per incentivarne la riduzione ed agevolarne il riciclaggio. L'incredibile, inutile quanto dannoso proliferare di imballaggi nei beni di largo consumo costituisce la causa principale dell'aumento di produzione pro capite di rifiuti urbani che si è registrata in questi ultimi decenni; si dovrebbero invece ostacolare i prodotti "usa e getta".

    Per raggiungere gli obiettivi descritti si dovrebbe ripartire la tariffa di smaltimento fra consumatori e produttori, avendo questi ultimi la responsabilità maggiore nelle produzione di rifiuti. In tal modo i produttori sarebbero incentivati alla realizzazione di prodotti e contenitori riutilizzabili, riparabili e durevoli, ed il consumatore a preferirli a quelli usa e getta.

    Bisognerebbe inoltre diffondere tra la gente una nuova consapevolezza ambientale attraverso corrette campagne di informazione che si servano anche delle etichettature dei prodotti per orientare il consumatore verso quelli maggiormente compatibili con l'ambiente, rendendolo consapevole dell'importanza che le sue scelte possono avere. Una adeguata etichettatura può fornire agli acquirenti informazioni essenziali sull'energia spesa per la realizzazione di un oggetto, sui rifiuti prodotti e che produrrà dopo l'uso. E' necessario inoltre incentivare la riparazione di un oggetto rotto piuttosto che la sua sostituzione con uno nuovo, e quindi la produzione e l'acquisto di oggetti riparabili, creando un'ampia disponibilità di centri di riparazione ed assistenza tecnica.

    Il pubblico e di conseguenza le industrie andrebbero inoltre orientate verso beni più duraturi. Un acquisto selettivo da parte dei consumatori può diventare il miglior incentivo per i produttori a realizzare beni con minor spreco di risorse ed energia.

    Alcune esperienze pilota, condotte da 300 famiglie italiane nell'ambito della campagna "Bilanci di giustizia" hanno dimostrato che senza sottoporsi a privazioni, in un sistema produttivo che va in direzione opposta, semplicemente orientando spontaneamente le proprie scelte di acquisto, evitando overpackaging e vuoti a perdere, è possibile ridurre la produzione di rifiuti da 5 fino 10 volte in pochi mesi. Una politica di incentivi alla riduzione ha quindi enormi prospettive di successo, ed è in grado di modificare radicalmente i termini del problema rifiuti.

    Caso esemplare è stato quello della provincia di Ebersberg in Baviera, dove una seria politica di riduzione dei rifiuti alla fonte adottata dagli amministratori locali, ed amplificata dalla emanazione nel 1991 di una nuova legge nazionale, nota come "Decreto Töpfer" dal nome dell'allora Ministro dell'Ambiente, ha portato ad un crollo della produzione dei rifiuti fra il 1988 ed il 1993, da 26.000 tonnellate/anno a sole 4.400 t/a; una riduzione ad un sesto in soli cinque anni! Il Decreto Töpfer attribuisce la responsabilità dei rifiuti da imballaggio alle ditte produttrici e distributrici; ciò ha portato alla nascita del DSD, un consorzio fra le imprese per la raccolta. Il consorzio si finanzia con gli introiti del "Punto Verde" ("Der Grüne Punkt"), un marchio per contraddistinguere gli imballaggi per i quali è stata versata la tariffa, commisurata alle dimensioni ed al peso, per la loro raccolta e riciclaggio. Questo sistema ha comportato un forte impegno da parte delle imprese a ridurre gli imballaggi e contemporaneamente ha orientato le scelte del pubblico verso i prodotti con minori imballaggi, in quanto meno costosi.

    In definitiva la affermazione di un nuovo stile di vita tra la gente, è la base di una corretta politica dei materiali che, senza imporre rinunzie, sia in grado di stimolare la nascita di un sistema produttivo ecologicamente sostenibile, che consenta un miglioramento generale della qualità della vita.

    In quest'ottica l'attività di pianificazione non può prescindere da una definizione prioritaria di obiettivi di riduzione, e ad essi riferirsi nel dimensionamento degli interventi. Purtroppo il fatto che la legge non definisca obiettivi di riduzione ha fatto sì che i piani in genere siano dimensionati sulla produzione attuale, e al più facciano riferimento a scenari di crescita inerziale, cioè basati sull'andamento passato e senza interventi volti a modificarli. Nelle suddette condizioni, i piani, quando prevedono la realizzazione di impianti tecnologici complessi come gli inceneritori, introducono dei vincoli per l'intero ciclo di vita di questi impianti (circa 30 anni) che nella maggior parte dei casi vanificano ogni possibile iniziativa di riduzione, andando contro in tal modo allo spirito della legge, eludendo una delle sue priorità più qualificanti.

    L'aver fissato degli obiettivi minimi (35% entro il 2003) solo per la raccolta differenziata, come viene fatto nell'art.24 della legge, ha fatto si che il complemento a questa raccolta sia preferenzialmente l'incenerimento che quindi può coprire fino al 65% dei rifiuti. La situazione che ne emerge è quella di un sistema bloccato, che rischia, in una prospettiva di riduzione all'origine delle quantità, di veder crescere la percentuale di incenerimento a scapito della raccolta differenziata che resterebbe l'unica variabile, rischiando di ridurla addirittura al di sotto degli obiettivi minimi di legge.

    In Italia siamo quindi ben lontani dalle basi minime necessarie per una pianificazione; in alcuni casi, come nelle regioni commissariate, lo stesso dato sulle quantità di rifiuti attualmente prodotti è affetto da gravi incertezze. I piani vengono elaborati spesso senza una approfondita attività di monitoraggio delle diverse situazioni territoriali e stagionali. In tali condizioni le scelte risultano arbitrarie e rischiose, sia dal punto di vista ambientale che economico, soprattutto se si tratta di grandi impianti, con elevato impatto ambientale ed un forte impegno di capitali. Soltanto dopo la definizione di scenari di produzione di rifiuti è possibile definire degli obiettivi ed individuare le soluzioni ottimali, mettendo in campo le attività e le tecnologie necessarie.

    Recupero e riutilizzo di oggetti e materiali

    Il recupero e il riutilizzo, a differenza della riduzione alla fonte, costituiscono interventi di riduzione a valle della produzione di rifiuti. L'esperienza tedesca dimostra come l'obbligo al recupero ed al riutilizzo possa esso stesso comportare come conseguenza una spinta alla riduzione alla fonte. Le operazioni di recupero e riutilizzo consistono nella estrazione, dai flussi di rifiuti che comunque verranno prodotti, di materiali ed oggetti che possono ancora avere una loro utilità, e nel loro reinserimento nei cicli produttivi attraverso canali commerciali appositamente creati. A tal fine vengono organizzate le raccolte differenziate.

    Organizzare un sistema di raccolta differenziata finalizzata al riutilizzo di oggetti e materiali è sicuramente più complesso che realizzare un impianto di smaltimento. Tale sistema deve impegnare infatti in uno sforzo coordinato pianificato tutti i soggetti interessati:

    1. produttori
    2. distributori
    3. pianificatori
    4. imprese di raccolta
    5. amministratori

    E' ovvio che ciò richiede uno sforzo di pianificazione molto accurata, perché basta che uno solo dei soggetti interessati non risponda alle attese che l'intero sistema fallisca economicamente. Sta di fatto che se invece una pianificazione accurata riesce ad attivare il mercato delle materie seconde, tale sistema offre enormi benefici sia sul fronte ambientale che su quello economico e sull'occupazione, rispetto a qualsiasi soluzione tecnologica di smaltimento.

    Le scelte tecnologiche per lo smaltimento

    Se si realizzassero serie iniziative di riduzione alla fonte della produzione dei rifiuti, o di recupero e riutilizzo di oggetti e materiali, le scelte tecnologiche non sarebbero tanto determinanti quanto lo sono oggi, quando si pretende di dare una risposta tecnologica alla maggioranza dei rifiuti attualmente prodotti.

    Per tecniche di smaltimento dei rifiuti intendiamo tutte quelle attività e quei processi di trasformazione che vengono applicati sui materiali in uscita dal sistema produttivo, per controllare ed attutire l'impatto della loro inevitabile collocazione finale nell'ambiente. Rappresentano il tentativo ultimo di attutire gli effetti negativi causati da un sistema produttivo, che spesso incautamente opera a ciclo aperto, cioè trasformando materie prime utili, in beni dotati di valore ed infine in rifiuti ai quali, per definizione, non viene attribuito alcun valore.

    Per affrontare seriamente le scelte tecnologiche occorre ricordare un principio fondamentale della fisica, il principio di conservazione della materia e dell'energia, che nei testi scolastici viene enunciato, in maniera semplice ma efficace, nel modo seguente:

    In natura, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

    Non esistono, e non possono esistere impianti in grado di distruggere i rifiuti. Tutto ciò che entra in un impianto ne esce, benché trasformato, fino all'ultimo grammo. Nessuna tecnologia può evitare il ritorno nell'ambiente dei materiali utilizzati nei cicli produttivi e poi scartati.

    Oggi, che poco o nulla si fa in chiave preventiva per la chiusura dei cicli produttivi in modo tale da eliminare, o almeno ridurre, la creazione di rifiuti ed in particolare di quelli nocivi per l'uomo e per l'ambiente, la scelta del metodo di smaltimento, nella varietà dei suoi aspetti organizzativi e tecnologici, è divenuto un punto chiave delle politiche ambientali in tutti i paesi industrializzati. I principi seguiti nella definizione dei sistemi di smaltimento sono essenzialmente due:

    1. disperdere e diluire
    2. raccogliere e concentrare

    utilizzando nel primo caso ed ostacolando nel secondo, i principali vettori naturali che sono l'acqua e l'aria. Intorno a questi due principi di base, si articolano tutta una serie di interventi organizzativi e tecnologici, miranti alla riduzione dell'impatto ambientale dei metodi di smaltimento applicati:

    1. - scomposizione chimica o biologica di composti inquinanti;
    2. - termodistruzione di molecole tossiche;
    3. - condizionamento fisico-chimico;

    Per valutare l'efficacia delle tecnologie di smaltimento, bisogna far riferimento al principio della fisica ricordato, facendo un bilancio di massa ed un bilancio energetico fra ingresso e uscita degli impianti.

    Gli inceneritori

    In un inceneritore entrano i seguenti materiali:

    1. Rifiuti, sotto forma di CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti)
    2. Combustibile per sostenere il processo di combustione
    3. Aria (ossigeno) come comburente
    4. Acqua per il filtraggio dei fumi
    5. Sabbia per alimentare il letto fluido (nel caso di inceneritori a letto fluido)

    In uscita troveremo esattamente la stessa quantità di materiali trasformati in:

    1. Ceneri, in quantità pari a circa un terzo di quella dei rifiuti trattati
    2. Fumi contenente ceneri volatili e gas prodotti nel processo di combustione
    3. Acqua inquinata, proveniente dal processo di combustione e dal lavaggio dei fumi
    4. Fanghi dalla depurazione delle acque di processo
    5. Carboni attivi provenienti dai filtri dei fumi
    6. Inerti (nel caso di inceneritori a letto fluido)

    Una valutazione precisa delle quantità andrebbe fatta per ciascun tipo di tecnologia applicata, comunque è evidente che in uscita si avrà una quantità di materiali, in forma solida, liquida e gassosa, ben maggiore di quella dei rifiuti trattati. L'inceneritore è quindi un moltiplicatore di rifiuti, ma ancor peggio ne aumenta la pericolosità e le difficoltà di smaltimento. I materiali che escono da un inceneritore sono infatti classificati come rifiuti speciali, e come tali richiedono adeguati trattamenti. Le ceneri, pari a circa un terzo del volume di rifiuti immessi, i carboni attivi dei filtri di fumi, gli inerti nel caso di letto fluido, ed i fanghi della depurazione delle acque di trattamento dei fumi, concentrano cloro, fluoro, zolfo, metalli tossici, ossidi di azoto, ecc., e contengono composti pericolosi generatisi nel processo di combustione, inquinanti non presenti all'origine nei rifiuti, come diossine, furani, PCB, fenoli, ecc.; si tratta in molti casi di sostanze estremamente persistenti e bioaccumulanti, che numerose statistiche mostrano aver causato danni sanitari molto rilevanti. Pertanto questi materiali vanno riposti in discariche per rifiuti pericolosi. Quindi l'inceneritore non evita la discarica, ma anzi richiede il ricorso a discariche speciali, la cui localizzazione e gestione presenta difficoltà notevolmente superiori rispetto ad una discarica per rifiuti urbani.

    Vista la scarsa efficacia come impianti di trattamento dei rifiuti, la normativa ridefinisce gli inceneritori come termovalorizzatori, evidenziando in tal modo il presunto beneficio energetico derivante dall'utilizzo del calore prodotto dalla combustione dei rifiuti.

    Il potere calorifico è una caratteristica di alcuni materiali di scarto che può essere sfruttata. Ciò costituisce sicuramente un beneficio rispetto al loro riponimento diretto in discarica. Ma se effettuiamo una analisi energetica di questo trattamento scopriamo che rispetto al riciclaggio esso costituisce un macroscopico spreco di energia, sancendo la prematura "morte entropica" dei materiali trattati, intendendo con ciò che da essi non se ne potrà trarre nessun ulteriore beneficio energetico. Per dimostrare ciò va considerato che il contenuto energetico di un oggetto è sostanzialmente costituito di tre componenti:

    1. l’energia utilizzata per la produzione dei materiali di cui è costituito l’oggetto,
    2. l’energia utilizzata per dargli la sua forma finale,
    3. il potere calorifico dei materiali di cui è costituito.

    Si fa notare che il potere calorifico medio dei rifiuti solidi urbani è piuttosto basso, variando fra le 1.000 e le 3.000 kcal/kg, confrontabile con quello della legna (3.000 kcal/kg), ma ben lontano da quello del carbon fossile (7.000 kcal/kg) o del petrolio (10.000 kcal/kg). Alcune componenti dei rifiuti come le materie plastiche hanno un discreto potere calorifico, compreso fra 4.000 e 6.500 kcal/kg; ma dal momento che per la loro produzione sono state mediamente spese 14.000 kcal/kg anche sottraendo a questo valore le 2.000 kcal/kg necessarie per il loro riutilizzo come materie seconde, è evidente che il maggior recupero energetico è ottenibile con il loro riciclaggio e non con l’incenerimento. L’incenerimento, anche a prescindere dai problemi di inquinamento da esso prodotti, non rappresenta quasi mai una valida alternativa al risparmio energetico ottenibile con il riciclaggio.

    Quindi l’incenerimento con recupero del calore prodotto non può essere impropriamente spacciato per recupero energetico, né tantomeno come una forma di riciclaggio ma va preso in considerazione solo per quella frazione di scarti non utilizzati altrimenti e che si decide di smaltire come rifiuti.

    Impianti di pressatura

    Se l'unico risultato utile di un inceneritore, ai fini dello smaltimento dei rifiuti, è la riduzione ad un terzo del volume iniziale dei rifiuti trattati, è pur vero che risultati analoghi possono ottenersi con un processo di pressatura, che ha il vantaggio di produrre come unica emissione acqua inquinata da depurare. Le ultime tecnologie di termo-essiccazione, che operano un modesto riscaldamento della massa di rifiuti durante il processo di pressatura, possono ridurre il volume fino a 7 volte quello iniziale producendo un materiale piuttosto stabile meccanicamente e chimicamente che occuperebbe meno spazio in discarica degli scarti del processo di incenerimento.

    La discarica

    La discarica rappresenta sotto tutti gli aspetti il gradino più basso dello smaltimento. Ad essa comunque giungeranno i rifiuti prodotti dagli inceneritori. Da un materiale riposto in discarica non si potrà trarre più nulla di utile.

    Lo stoccaggio definitivo di rifiuti in una discarica, è una soluzione praticabile solo a determinate condizioni che possono essere ricondotte ai seguenti principi generali:

    1. la discarica sia situata in luoghi con caratteristiche stabili per tempi superiori a quelli di persistenza delle sostanze da smaltire e della loro pericolosità (tempi che in alcuni casi possono essere assai lunghi);

    2. in base alla pericolosità delle sostanze da smaltire, la discarica deve presentare barriere naturali o artificiali che isolino in condizioni di sicurezza i rifiuti dall'ambiente esterno, in particolare dai principali vettori di diffusione costituiti dalle acque sotterranee e dall'aria;

    3. la discarica, per tutto il tempo di persistenza del pericolo relativo ai rifiuti contenuti, deve essere controllata con sistemi di monitoraggio sulle acque dei pozzi circostanti e di pozzi spia appositamente scavati. Devono inoltre essere previsti sistemi di captazione del percolato e del gas eventualmente prodotto dai processi di fermentazione.

    Contrariamente a quanto si potrebbe pensare la discarica nella realtà non rappresenta mai un "collettore ideale", una specie di "buco nero" o di "pozzo senza fondo", ma, nonostante le barriere naturali o artificiali utilizzabili, è un sistema tutt'altro che isolato rispetto all'ambiente circostante. Due fenomeni in particolare comportano il contatto dei rifiuti contenuti in discarica con l'ambiente:

    1. il percolamento del contenuto di acqua dei rifiuti e delle precipitazioni atmosferiche verso il fondo della discarica
    2. lo sviluppo di gas dai processi di biodegradazione

    L'acqua di percolazione trascina di solito con sé sostanze organiche, sali, acidi organici ed inorganici, cloruri, olii, ioni metallici ed altre componenti tossiche eventualmente presenti nei rifiuti. Le caratteristiche del percolato dipendono ovviamente da quelle dei rifiuti riposti in discarica. Giunta sul fondo della discarica esso esercita una pressione tendendo ad attraversare le barriere impermeabili esistenti; una minima discontinuità nell'impermeabilizzazione rappresenta una via di fuga di queste acque contaminate verso le falde sotterranee, con conseguenze ambientali potenzialmente molto serie.

    Nella peggiore delle ipotesi, come nel caso delle discariche incontrollate ed abusive, che non prevedano nessuna impermeabilizzazione artificiale e non godano di sufficienti barriere naturali, il percolato, con il suo carico inquinante, viene direttamente disperso nei corsi d'acqua superficiali o nelle acque sotterranee.

    CONCLUSIONI

    Mentre non molti anni fa si riteneva che un limite alle economie opulente e sprecone dei paesi industrializzati sarebbe stato l'esaurimento delle risorse, oggi è di dominio comune che un altro limite, ben più ravvicinato incombe sulla nostra società: la capacità dell'ambiente naturale di sostenere il carico inquinante derivante da un uso massiccio di energia e materiali. Eppure il sistema, attraverso le sue strutture tecniche e politiche, risponde al problema dei rifiuti semplicemente sposando nuove tecnologie di smaltimento mentre la produzione di rifiuti pro capite continua a crescere, e quotidianamente si aggiungono enormi quantitativi di rifiuti da smaltire, e le soluzioni appena varate sono inevitabilmente destinate a diventare in breve tempo insufficienti.

    Ma una strada diversa esiste e consiste nel disegnare una nuova politica complessiva dei materiali basata sull'efficienza ambientale, energetica ed economica, attraverso la quale sciogliere anche i nodi della gestione dei rifiuti.

    Invece la legge ed i suoi decreti applicativi dimostrano tutta una serie di agevolazioni burocratiche e finanziarie per l'incenerimento con recupero di calore, che viene così a svincolarsi da quel ruolo di smaltimento del "residuale" previsto dal DL 22/97 assumendo un ruolo sempre più chiaro di scelta prioritaria. Per residuale si intende infatti, in tutti i piani finora sviluppati, il complemento alla raccolta differenziata, cioè fra il 50% ed il 70% della produzione attuale di rifiuti. In tal modo si vanifica ogni iniziativa futura di riduzione alla fonte o di incremento della raccolta differenziata. Così facendo corriamo il rischio di trovarci nella situazione occorsa alla Germania, che a metà degli anni '90, a causa di efficaci politiche di riduzione, non aveva rifiuti sufficienti per alimentare gli inceneritori esistenti, e neanche per ammortizzarne i costi di impianto e di gestione.

    Ad ulteriore dimostrazione di questa scelta politica per l'incenerimento fatta dal nostro governo, nelle Linee Guida per indirizzare i Fondi Strutturali Europei, che riverseranno nei prossimi anni alcune decine di migliaia di miliardi soprattutto nel mezzogiorno, è emerso un ulteriore tentativo di convogliare ingenti risorse finanziarie alla costruzione di inceneritori nel Sud.

    Troviamo inaccettabile tecnicamente, ecologicamente e politicamente che in questo documento i rifiuti, esclusa la parte organica trattata a parte sotto la voce biomasse, quindi consistenti essenzialmente in CDR la cui componente principale e di maggior pregio energetico è la plastica, vengano considerati tra le fonti energetiche rinnovabili, a meno che non si voglia considerare come orizzonte temporale le decine di milioni di anni necessari alla formazione del petrolio dal quale viene prodotta la plastica (!). 

    L'obiezione non è puramente formale in quanto nel documento, si prevede che l'incenerimento dei rifiuti assorbirà il 40% dei contributi destinati alle fonti rinnovabili. Nella tabella seguente elaborata sulla base dei dati forniti, si può notare che, sia in termini di riduzione delle emissioni di CO2 per miliardo di contributo, che di contributo per MW installato, i rifiuti non rappresentano comunque un buon investimento.

    Tipologia

    Potenza

    installata

    (MW)

    Contributi

    (miliardi)

    Riduzione

    CO2 (t/anno)

    Contributo

    per MW

    (miliardi)

    Riduzione CO2

    per miliardo speso

    (t/anno)

    Eolico

    1.400

    700

    1.700.000

    0.5

    2.429

    Idroelettrico

    250

    700

    700.000

    2.8

    1.000

    Rifiuti

    300

    1.500

    1.100.000

    5

    733

    Biomasse

    400

    400

    1.500.000

    1

    3.750

    Fotovoltaico

    25

    250

    -

    10

     

    Solare termico

    n.r.

    255

    500.000

    n.c.

    1.961

    Figura 2: Efficacia degli investimenti previsti per i Fondi Strutturali Europei

    Evidentemente la scelta è di affrontare un problema estraneo alle forniture energetiche, per risolvere una emergenza come quella innegabile dei rifiuti, che peraltro andrebbe affrontata in altre forme ed in altre sedi, seguendo le priorità definite dalla legge 22/97 (innanzitutto riduzione, riuso e riciclaggio). Tanto meno opportuno è per noi che ciò avvenga a scapito di una cospicua parte dei fondi previsti per le fonti energetiche pulite e rinnovabili.

    Di fronte a queste manovre tese a favorire un determinato settore industriale, con tutte le possibili agevolazioni normative e finanziarie (oltre ai fatti citati basta ricordare tutte le agevolazioni previste dal DL 22/97 e dalla delibera CIP N.6 del 92) e non a risolvere il problema dei rifiuti, il WWF ribadisce il suo NO! agli inceneritori come soluzione diffusa, salvo poterli accettare in situazioni specifiche, marginali e da valutare da caso a caso, e sempre per una quantità residuale di rifiuti, risultante da un serio impegno sul fronte della riduzione.

    Il WWF rifiuta un sistema di gestione di rifiuti che venga disegnato su misura per gli interessi delle industrie degli inceneritori. Il WWF si oppone ad ogni tentativo di installare una capacità di inceneritori tale da divenire una barriera nei confronti degli sforzi di riduzione e riciclaggio. Gli inceneritori possono essere inseriti solo all'interno di una politica generale di gestione dei rifiuti tesa alla loro minimizzazione. Gli inceneritori sono accettabili solo se rimane un flusso sufficiente di rifiuti per alimentarli, dopo aver attuato tutte le possibili politiche di riduzione e riciclaggio

    Sono inaccettabili tutte le agevolazioni, le esenzioni e le scappatoie previste dalla legge per favorire l'utilizzo dei rifiuti in impianti termici industriali. L'incenerimento dei rifiuti deve rispettare gli stessi standards, ottemperare agli stessi obblighi ed essere soggetto agli stessi controlli dovunque ed in qualsiasi tipo di impianto esso avvenga.

    Il WWF respinge ogni tentativo di considerare l'incenerimento dei rifiuti un mezzo per il conseguimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto. I rifiuti non sono una fonte rinnovabile di energia e la loro combustione non abbassa le emissioni totali di CO2.

    Riteniamo inoltre che debba essere incentivato il ricorso all'utilizzo di nuovi materiali biodegradabili di origine biologica in sostituzione dei materiali derivati dal petrolio, e che debba comunque essere ostacolata la diffusione di prodotti e contenitori "usa e getta".

    Se si realizzasse quanto qui detto ci accorgeremmo che l’obiettivo rifiuti zero non è un’utopia: la natura lo ha già realizzato da sempre.

     

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